Prima parte di una conversazione in atto tra Giacomo Lilliù e Davide Nota attorno al romanzo Lilith. Un mosaico (Luca Sossella Editore, 2019) e al concerto per voci e interferenze PPSS a cura del Collettivo ØNAR. Si parla, in questa parte, di morti, di videoschermi e di reintegrazione.

GL: Partirei dal principio, e in Lilith partire dal principio credo voglia dire partire dai morti. Contemplarli, o riportarli in vita (frammento 1)? Tra i tanti motivi del tuo mosaico, credo si possa discernere quello di una veglia funebre (e mi viene in mente quella di Finnegan); più semplicemente, potremmo parlare di una storia di fantasmi, se con fantasma intendiamo l’eidolon, il doppio intangibile della vita. Ed è qui che sta una delle ragioni fondamentali del tentativo di tradurre Lilith verso il teatro perché, almeno per quanto mi riguarda, il teatro è il luogo in cui la corporeità innegabile dell’attore può trasfigurarsi esalando da sé un miraggio (dello sguardo, dell’udito, della percezione, dell’immaginario). Anche in Lilith c’è questa sovrapposizione di presenza e assenza, ma mi sembra che il tentativo sia in senso opposto: non sublimare la carne, bensì incarnare l’impalpabile. Condividere il sangue con gli antenati, restituire forma all’invisibile (frammento 14). È così? Continua a leggere →